Il secolo che precedette il
trattato di Cherasco del 1631 fu anche per il nostro paese un periodo infausto non solo
per le guerre tra Spagnoli, Francesi e il Duca di Savoia, che mirava alla conquista del
Monferrato, ma anche per le carestie rovinose e le frequenti grandinate e, peggio ancora,
per la mortalità di molti suoi abitanti, non certo per il clima naturalmente salubre, ma
a causa della peste che dilagò dal 1536 al 1559. Nel 1575 risulta che fu attenuato un
nuovo contagio, grazie agli ordini impartiti dal Duca Emanuele Filiberto, con misure
igienico-sanitarie e ferrea vigilanza. L'epidemia pestilenziale ricomparve negli anni 1598
e 1599 in tutta la sua gravità, e poi nuovamente nel 1630 dilagando su vasti territori.
Quest'ultima, che nel nostro paese, solo nel mese di luglio, portò alla tomba 64 persone,
fu descritta con grande efficacia del Manzoni ne "Promessi Sposi". I colpiti dal
male quasi tutti morivano e c'erano in tutte le case moribondi e languenti. Neppure nel
1867 l'epidemia di colera risparmiò Castelnuovo ove nel mese di agosto si contarono 27
morti. In questa circostanza Don Bosco acconsentì che don Cagliero portasse da Torino il
conforto materiale e morale alla nostra popolazione provata da tanto flagello. Nella
concomitanza di così gravi calamità che soltanto severe misure profilattiche riusciranno
in seguito a debellare, vennero concesse dal Comune parecchie riduzioni di tasse. Anche
la nostra popolazione nutrì profondo amore per i Santi protettori degli appestati: San
Sebastiano, 5. Defendente e San Rocco, a ciascuno dei quali dedicò una cappella. Quella
dedicata a San Rocco, si trovava nell'attuale largo Mons. Bertagna, e venne poi demolita e
sostituita intorno al 1890 da quella oggi esistente ed assiduamente frequentata. Anche le
attuali piazza Don Bosco e via Roma furono a lui dedicate. Come è noto, San Rocco,
francese di nascita, visse nella prima metà del secolo XIV. Elargita la cospicua eredità
paterna, peregrinò per l'Italia prodigandosi nella cura degli ammalati di peste, finché
anch'egli ne fu colpito e costretto ad appartarsi. Viene raffigurato vestito di semplice
mantello, mentre un cane l'accompagna recandogli il necessario per il suo sostentamento.
Per chiudere questo capitolo che suscita amarezza per le umane sofferenze, ram-mento le
disastrose gelate del 1705 che fecero perire gran parte degli olivi di cui erano coperti i
divi meridionali delle colline da Castelnuovo a Cocconato. L'olio prodotto era destinato
in gran parte al consumo locale e del vicinato, anche perché non poteva reggere per
qualità e quantità alla concorrenza di quello della riviera ligure favorita dal tiepido
clima marittimo. Esso aveva tuttavia recato fino a quell'anno un contributo non
indifferente all'economia della popolazione agricola locale.
Il territorio lasciato libero dagli oliveti fu coltivato a vite e si ebbe per qualche
tempo una rinomata ed eccellente produzione di nebbiolo, alla quale subentrò quella del
freisa.
Ma la serie nefasta delle disavventure per la nostra agricoltura non era finita. La
filossera giunta dall'America in Europa intorno al 1880 con l'importazione di barbatelle
infette, ridusse in rovina i nostri rigogliosi vigneti. Gli agricoltori dovettero
ricostruire pazientemente le piantagioni con viti resistenti all'attacco di quei deleteri
insetti. Solo con l'innesto di varietà nostrane su barbatelle americane si ebbero vigneti
immuni dalla malattia. |
|
|